| Vi voglio raccontare i miei esami di maturità. Quello era un periodo in cui la legge dell'attrazione neanche si sapeva cosa fosse (stiamo parlando del lontanissimo 1988). Eppure già iniziavo a fare le mie prime osservazioni sulla correlazione tra pensiero e avvenimenti.
Bene. In quel periodo era ancora in vigore la vecchia riforma: ovvero, per l'esame venivano selezionate quattro materie orali e il candidato doveva sceglierne due. La prima era intoccabile, ma la seconda scelta poteva essere cambiata dalla commissione con il preavviso di un solo giorno. Così che poteva capitare che il candidato scegliesse (per esempio) italiano e filosofia, mentre invece veniva interrogato su italino e fisica. Quell'anno per il liceo scientifico erano state selezionate le seguenti materie: italiano (non manca mai), ingelse, filosofia e fisica. Devo dire che durante la preparazione sono stato molto incosciente. Ho studiato solo le due materie che avevo scelto (folosofia e inglese), snobbando interamente le altre due. Inoltre, di quelle due materie non avevo neanche studiato tutto il programma, ma solo ciò che ritenevo più opportuno o interessante.
Arriva il giorno degli esami. la commissione era composta da un membro interno (il nostro professore di italiano), quattro membri esterni (uno per ogni materia) e il presidente di commissione, sempre esterno, che per una strana ironia era proprio l'autore del testo di antologia inglese su cui avevamo studiato. Tale presidente si era rivelato particolarmente severo, con anche una punta di sadismo. Si divertiva a cambiare la seconda materia qua è là, e interveniva spesso (sporattutto durante le interrogazioni di inglese) con domande ardite e a trabocchetto. Insomma, un vero incubo. Non saprei dire perché, ma io ero completamente fiducioso che tutto sarebbe andato bene. Avevo un'incoscienza spudorata, eppure sono andato agli esami con la usuale emozione (certo) ma anche una sicurezza dentro di me che sarebbe andato tutto bene. Intanto portare inglese come seconda materia mi dava la garanzia che il presidente in questione mi avrebbe confermato la materia a lui più cara, ma da una parte ero un po' preoccupato per le domande che mi avrebbe fatto. Rilassati, mi dico io, andrà tutto bene.
Arriva il mio giorno. Io sono l'ultimo della giornata. Lui si comporta come di consueto, con la sua tendenza (almeno questa era l'idea che dava) a voler mettere in difficoltà chi gli capitava a tiro. Eravamo in sei quel giorno. Passa il primo, il secondo, il terzo... arrivati al quarto, il presidente si alza e dice che deve andare via perché ha un impegno, chiedendo alla commissione di proseguire senza di lui. Faccio un respiro di sollievo profondo, dentro di me. Ecco mio turno. Comincio con filosofia. Mi chiede un filosofo a piacere, e comincio con quello che avevo studiato meglio (Kierkegaard), poi, per timore che mi potesse chiedere qualcosa che non sapevo bene (avevo notato che il prof di filosofia aveva una certa predilizione per Hegel, di cui sapevo poco o nulla), mi invento un collegamento impossibile con Comte e inizio a parlare di lui. Alla fine mi fa una domanda di filosofia pratica e, soddisfatto della risposta, mi consegna alla prossima materia. Il primo round era andato magnificamente. La prof di inglese per fortuna era di pasta ben diversa dal presidente della commissione. Mi fa delle domande molto tranquille e mi chiede praticamente argomenti a piacere. Questa interrogazione è stata meno smagliante della precedente, ma lei si mostra molto comprensiva e mi rendo conto di aver fatto comunque una buona prestazione. Se fosse stato presente il cerbero mi avrebbe sicuramente sbranato. Riesco così con gli orali a riportare a mio favore una prestazione scritta tutt'altro che impressionante e supero gli esami con un voto più che decente (45/60 che corrispondono alla media del 7 e mezzo).
Per la cronaca: quello è stato l'unico giorno in cui il presidente della commissione si è assentato. Se ci credi, succede.
Edited by kusarigama_sensei - 4/3/2010, 21:26
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